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I professionisti fanno pace col Fisco grazie al bancomat. Migliaia di lavoratori autonomi, come racconta il Sole 24 Ore, finalmente non dovranno più dimostrare che i prelievi effettuati dal bancomat e non documentati non corrispondono “a pagamenti in nero”. A stabilirlo è la sentenza n. 228 della Corte Costituzionale che decreta la fine di tale presunzione con cui il fisco finora ha condotto i suoi accertamenti sui redditi dei professionisti. La Corte ha infatti dichiarato incostituzionale la norma di legge che parla di “compensi” stabilendo come sia inapplicabile ai professionisti la conclusione secondo cui i prelevamenti di contanti non documentabili equivalgano a ricavi non dichiarati.
Il caso
A tale presunzione l’Agenzia delle entrate era pervenuta a seguito di una serie di provvedimenti legislativi in materia di accertamento delle imposte sui redditi. Di fatto secondo il fisco ai professionisti andava applicata la stessa “doppia presunzione” di legge valida per gli imprenditori: i prelievi non documentati per le imprese infatti erano solitamente considerati come finalizzati a sostenere dei costi “in nero” non dichiarati.
La sentenza
In questo modo i prelievi di contanti effettuati col bancomat venivano automaticamente considerati compensi in nero, salvo che il professionista non fosse in grado di produrre tutti i documenti relativi alle spese effettuate con tali contanti. Questo vincolo ora è decaduto. Insomma la presunzione nei confronti dei professionisti secondo la Cassazione è lesiva del principio di ragionevolezza e capacità contributiva ed è arbitrario per il Fisco ipotizzare che i prelievi ingiustificati da parte di un lavoratore autonomo siano destinati ad investimenti nell'attività professionale.
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Redazione di Rete Commercialisti