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Il ritardo nel presentare i documenti non lede la difesa contro le pretese del fisco

Burocrazia 
La disposizione sull’inutilizzabilità dei documenti prodotti tardivamente non può ledere il diritto di difesa, con la conseguenza che il comportamento del contribuente deve far dubitare della genuinità dei documenti prodotti successivamente. A fornire questa interessante precisazione è la Corte di cassazione con la ordinanza 11765 depositata ieri.
 
La pronuncia è particolarmente attuale in quanto gli uffici, di sovente, contestano l’inutilizzabilità dei documenti prodotti solo in giudizio. Si verifica cioè che tali documenti vengono pretesi in tempi ridotti, anche se non immediatamente reperibili (si pensi al caso dei giustificativi di operazioni bancarie eseguite anni addietro), quindi, se il contribuente riesce a produrli solo in giudizio si vede contestare la loro utilizzabilità.

Nella specie, l’Agenzia accertava sinteticamente maggiore Irpef nei confronti di una signora addebitandole l’incremento patrimoniale a fronte di un acquisto l’anno successivo di un immobile. Impugnato l’atto, esibiva documentazione bancaria con cui riteneva dimostrata la regolarità della dichiarazione. La Ctp e la Ctr confermavano invece la pretesa erariale. I giudici di appello, in particolare, pur rilevando che erano stati provati dei decrementi finanziari, ritenevano non utilizzabili i documenti in questione in quanto non esibiti all’Ufficio tempestivamente.

L’articolo 32 del Dpr 600/73 prevede, tra l’altro, che le notizie e i dati non addotti e la documentazione non esibita o non trasmessa in risposta agli inviti dell’ufficio non può essere presa in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l’ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta. Tale causa di inutilizzabilità non opera se il contribuente deposita con il ricorso di primo grado i documenti dichiarando di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile.

La Corte di cassazione ha ribaltato la decisione fornendo un’interpretazione non solo conforme al reale spirito della norma, ma anche piena di buon senso.

I giudici di legittimità hanno chiarito che si tratta di una disposizione che deroga ai principi costituzionali sanciti dagli articoli 24 e 53 della Costituzione e dunque deve essere applicata in modo da non comprimere il diritto alla difesa e di non obbligare il contribuente a pagamenti non dovuti.

È necessario pertanto che il comportamento del contribuente appaia idoneo a far fondatamente dubitare della genuinità dei documenti che affiorino soltanto in seguito nel giudizio: perché, se si rifiuta l’esibizione, di regola è perché si ha qualcosa da nascondere e si ha qualcosa da nascondere quando si è violata la norma impositiva. La norma sanziona poi la violazione del l’obbligo di leale collaborazione con il fisco. Ne consegue che bisogna interpretare in modo rigoroso il termine “invito”: esso deve essere specifico e puntuale, oltre che accompagnato dall’avvertimento circa le conseguenze della mancata ottemperanza.

Il fatto che la documentazione non sia stata esibita in sede amministrativa può giustificare l’accertamento dell’amministrazione, ma non determina la impossibilità di produrla in sede contenziosa; posto che tale significativa sanzione scatta solo ove l’ufficio, invece di esercitare i propri poteri di indagine ed accertamento bancario, invita il contribuente ad esibire la specifica documentazione.

Vi è ora da sperare che questa decisione faccia riflettere alcuni uffici sulla opportunità di contestare sempre la produzione successiva dei documenti in giudizio. Va da sé, come sottintende la pronuncia della Corte, che, in presenza di documenti genuini e difficilmente reperibili in breve tempo, eccependo l’inutilizzabilità, si rischia di pretendere il pagamento di imposte non dovute dal contribuente sfortunato e non dal l’evasore.

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Redazione

Redazione di Rete Commercialisti