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Nullo l’accertamento fiscale che indica solo aliquote minime e massime applicabili o se il fisco si limita a contestare l’incompleta risposta al questionario. Non è neppure necessario che il contribuente dimostri che l’atto ha violato i suoi diritti. Deve infatti prevalere la chiarezza della pretesa impositiva.
La Corte di Cassazione, sentenza n. 7635 del 2 aprile 2014, ha accolto il ricorso di un cittadino che aveva ricevuto un avviso contenente solo le aliquote minime e massime. Motivano i Supremi giudici, in tema di accertamento delle imposte sui redditi:
l’avviso di accertamento che non riporti l’aliquota applicata, ma solo l’indicazione delle aliquote minima e massima, viola il principio di precisione e chiarezza delle indicazioni che è alla base del precetto che richiede che sia evidenziata l’aliquota applicata su ciascun importo imponibile, al fine di porre il contribuente in grado di comprendere le modalità di applicazione dell’imposta e la ragione del suo debito, senza dover ricorrere all’ausilio di un esperto. L’omissione di tale indicazione determina la nullità dell’atto, «senza che sia consentita una valutazione di merito circa l’incidenza che essa abbia avuto, in concreto, sui diritti del contribuente».
La sentenza è tanto interessante quanto si pensi che, in passato, i Giudici di legittimità avevano affermato proprio l’esatto opposto, ossia che gli accertamenti forniti della semplice indicazione degli scaglioni di reddito sono da ritenersi legittimi.
Oggi, invece, arriva il capovolgimento di interpretazione. La legge, infatti, richiede che sia evidenziata l’aliquota applicata su ciascun importo imponibile. Ciò al fine di porre il contribuente in grado di comprendere le modalità di applicazione dell’imposta e la ragione del suo debito, senza dover ricorrere all’ausilio di un esperto. Se manca tale indicazione, l’accertamento è nullo, senza che sia necessario valutare l’incidenza che tale omissione abbia avuto, in concreto, sui diritti del contribuente.
Anche il filone giurisprudenziale che pone l’accento sull’onere del contribuente di dimostrare la impossibilità o difficoltà di accertare le aliquote applicate sulla base dei dati contenuti nell’avviso è superato dal fatto che la Ctr ha indicato unicamente, a tal fine, il sistema progressivo di applicazione, basato sui diversi scaglioni del reddito con ciò dimostrando che nell’avviso non erano indicati dati immediatamente utilizzabili dal contribuente, cui era al contrario integralmente rimesso il calcolo degli scaglioni di reddito, con ricerca autonoma delle aliquote, quindi con violazioni dei principi di chiarezza sopra ricordati.
Non solo. In una sentenza dello scorso 2013, la Commissione Tributaria Provinciale di Pavia ha elaborato un altro interessante principio a favore della chiarezza degli atti impositivi: l’accertamento fiscale è nullo se il fisco si limita a contestare “l’incompleta risposta al questionario fiscale” inviato al contribuente, senza specificare quali siano queste carenze delle risposte. Contestare “l’incompleta risposta al questionario” senza indicare in nessun altro punto dell’atto in cosa si sia sostanziata la dedotta incompletezza rende nullo l’accertamento per difetto di motivazione alla base della sanzione irrogata. Ciò infatti impedisce al contribuente di opporre una adeguata difesa.
Insomma, due nette vittorie per i cittadini, laddove il contenzioso tributario – spesso orientato in favore del Fisco – sta registrando un notevole incremento. Contenzioso utilizzato, oggi come mai, quale ultima spiaggia per sperare in un “testa coda” da parte del fisco. E, di certo, la mancanza di chiarezza negli atti di accertamento, di norma poco intellegibili a chi non è esperto del settore, è uno di quei vizi che giustifica il ricorso al giudice tributario.
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Redazione di Rete Commercialisti